Comfort zone e Innovatori: letture per l’estate

Mi piace leggere.

L’ho sempre fatto, fin da piccolo. Forse ho iniziato ad apprezzare la lettura grazie a mio padre che ho sempre visto affamato di libri o perchè mia madre mi assillava o grazie alla mia professoressa di italiano al liceo.
Viaggiare aiuta ad avere tempo da impegnare e alle volte a trovare le occasioni, ma amo leggere di sera quando c’è silenzio, non ci sono telefoni o sollecitazioni che possano distrarre. Con l’età, la stanchezza spesso mi porta a cadere in coma dopo poche pagine e dormire vergognosamente appena dopo poche righe.
Io leggo perché non posso farne a meno, perché una parte delle mie cellule ha bisogno di essere nutrita e di ascoltare parole di qualità che mi inducano a riflettere.

Pur essendo amante della tecnologia, non mi sono ancora convertito all’e-book o al tablet per le letture di piacere, o forse per snobismo, ma anche per mantenere la mia sanità mentale e non passare anche quei pochi minuti di silenzio davanti ad uno schermo.

Ho appena finito di leggere un libro di Walter Isaacson dal titolo “The Innovators”. Racconta la storia di chi ha creato le condizioni per il genio di Steve Jobs e dell’innovazione digitale che ha portato alla tecnologia dei nostri giorni. Inizia dal 1843, dalla storia di Ada, contessa di Lovelance la quale, rompendo tutte le convenzioni del tempo, si dedicò alla matematica, e finisce nel 2011 con Watson, il sistema di intelligenza artificiale di IBM che riesce a superare il cervello umano in tante operazioni (gli inglesi dicono “thinking out of the box“).

Il libro mi ha indotto a riflettere sul fatto che per realizzare qualcosa di buono è necessario iniziare sempre con dei primi piccoli passi o con delle azioni che possano rompere le convenzioni o le convinzioni del tempo.
Sono i primi passi che ci portano a valutare tutte le ragioni che ci possano indurre al cambiamento, per poi cercare ragioni ancora più forti per farlo.

Molti di noi hanno buone idee, ma altrettanti spesso fanno prevalere la cautela e la sicurezza, le voci interiori che dicono quanto sia rischioso o le voci dei vicini che dicono quanto sia folle il progetto.
Scuse per non cambiare e innovare se ne trovano facilmente: è troppo rischioso, sono troppo occupato, non sono preparato, non è il momento giusto, non ho le giuste competenze…

Non so dire, in questa fase di avvio, quanto possa contare la formazione di ciascuno, di sicuro, dalle storie raccontate nel libro, emerge che le cose migliori vengono sempre da persone che hanno grandi sogni, grandi ambizioni e volontà di fare accadere le cose. In questa fase, il background semplicemente non è rilevante, è rilevante cosa riesci realmente a immaginare e a fare, la determinazione e la volontà.

La “disruptive innovation” viene sempre dalla capacità di pensare in maniera “laterale” e non convenzionale. Credo che l’unico modo per pensare in modo non convenzionale sia non pensare troppo ad una cosa, forse anche seguire l’istinto.
Le buone idee sono indipendenti da formazione, “over-thinking” (liberamente traducibile come “pippe mentali”), tempistica, attestati, lauree…
Insomma serve sapersi dire (alle volte) il detto siciliano “Addiu alla sorti” (per i continentali, frase di rassegnazione e di accettazione di qualsiasi esito nell’intraprendere una iniziativa rischiosa).

Tutte le innovazioni e le creazioni che hanno contribuito tanto o poco al miglioramento della società e delle condizioni di vita sono venute da persone che hanno trovato il coraggio di fare i primi passi, non permettendo alla loro testa, a coloro che gli stavano attorno di dettare ciò che possibile o impossibile ottenere.

Conosco tante persone che hanno deciso di fare i primi passi.
Certo, non tutte saranno Steve Jobs e non tutti cambieranno la vita di milioni di persone, ma ci stanno provando. Conosco anche tante persone che non riescono a superare la loro “comfort-zone” nelle grandi e piccole cose. A questi mi viene in mente che si applica bene il proverbio siciliano “Nun mangia, pi nun cacari” (sempre per i continentali, ci si riferisce ad una persona che non ha iniziative, che non ama il rischio e che evita il più possibile di spendere denari).
Non so dirvi chi vive meglio.

PS: Nella foto i libri che porto in vacanza quest’anno. Buona lettura.

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Essere imprenditore significa lavorare tanto, pensare sempre alla tua azienda, vivere con la tua creatura in testa giorno e notte. Il mio lavoro e, quindi, questo blog contengono la sintesi e la metafora di una vita vissuta alla ricerca di qualcosa capace di soddisfare la mia curiosità e il mio desiderio di mettermi alla prova senza limiti o preconcetti.