Elogio dell’incompetenza

Pochissimi sono i post di natura “politica” in questo blog, principalmente perchè la finalità di Hands On The Ground è sempre stata ben diversa. Però, con tutta la buona volontà, come si possono ignorare i fatti recenti in Italia e nel Regno Unito? Come non fare una riflessione che credo sia attinente con ciò che potrà essere il futuro del mercato del lavoro di queste nazioni? 

Le dichiarazioni e gli eventi attorno Brexit di questi giorni, insieme agli innumerevoli fatti italiani di giorno in giorno sempre più sorprendenti (se non sconcertanti), esprimono chiaramente due punti che fanno da sfondo alle politiche populiste europee:

  • i fatti, i dati, le informazioni circostanziate e incontrovertibili devono essere piegate ed asservite alla comunicazione politica di turno;
  • la competenza specifica, la preparazione sono un disvalore.

Due cose semplici e chiare.

Lo abbiamo visto con i dati sugli effetti della Brexit (sia in positivo che in negativo), con l’atteggiamento del Primo Ministro Inglese, con le cifre relative ai risparmi grazie alle “nuove” politiche in tema di immigrazione (numeri a caso generati dai vari schieramenti politici in entrambi le nazioni), con la percezione alterata dei volumi dei flussi migratori in Italia e in UK, con il reddito di cittadinanza, con gli effetti dell’innovazione tecnologica interpretati a piacimento… 

Per chi è stato formato a trattare i dati con approccio sistematico e scientifico (ossia documentandosi, leggendo fino in fondo, valutando più interpretazioni, verificando le fonti, comprendendo cosa è un trend, come si forma e si evolve…), i dati hanno una caratteristica fondamentale: sono chiari e non sono discutibili. Un dato è un dato, può essere interpretato certo, ma se rappresenta un fatto non lo puoi “persuadere” a diventare altro. 

E qui veniamo al secondo punto. Ciò che intendo dire, non fa riferimento a uno scenario o uno schieramento politico, ma solo ad un punto di natura squisitamente culturale. 

Pensare che i dati possano essere usati e piegati alle esigenze politiche del momento, negare le evidenze basate su dati, presuppone che l’interlocutore sia privo di spirito critico, quindi incompetente o ignorante. Ed è qui che si apre uno scenario impensabile solo pochi anni fa.

Essere incompetenti o ignoranti in materia non mette più “fuori gioco”, non è una cosa di cui vergognarsi, anzi, l’incompetenza diventa un vessillo di genuinità, quasi un marchio di onestà intellettuale che autorizza ad aggredire e odiare. Ed è così che si può piegare la realtà dei dati e dei fatti a qualsiasi teoria (dalla terra piatta, ai no-vax, a teorie su centinaia di milioni di sterline inesistenti disponibili per il servizio sanitario se si esce dall’Europa). La deriva culturale verso la rilevanza dell’”università della vita” ha annullato completamente l’insegnamento con cui sono cresciute intere generazioni del dopoguerra: “Studia se vuoi diventare qualcuno, ma soprattutto studia per te stesso se vuoi essere libero”. 

Ieri (per tornare ai fatti italiani), ho riso alla nomina di Lino Banfi a rappresentare l’Italia all’Unesco. Premetto che io adoro Lino Banfi. Sono cresciuto con i suoi film (che rivedo volentieri) e ho visto l’intera serie di Nonno Libero. Ho anche riso ai meme che sono apparsi sui social.

Non è Lino Banfi il problema (anche se non capisco perchè una persona di quell’età e con alle spalle un’onorata carriera si presti a questo massacro), è il fatto che qualcuno possa aver pensato che non servano persone competenti a rappresentare una nazione, che basti essere “simpatici”, che basti avere un’idea vaga o aver letto qualcosa su Internet per decidere in nome di un popolo. 

Non è Lino Banfi il problema, è l’esempio che stiamo dando ai nostri giovani, da anni ormai. Stiamo comunicando nei fatti che chiunque, senza nessuna preparazione e sacrificio, possa essere qualsiasi cosa. Stiamo comunicando nei fatti che cercarsi un lavoro è da fessi, soprattutto se puoi avere un reddito per stare a casa. Stiamo comunicando con i fatti che studiare, conoscere prima di parlare e parlare un italiano corretto non serva, anzi. Da ciò discende che il merito non abbia più alcun valore. Siamo tutti uguali e valiamo tutti lo stesso peso.  

Non è Lino Banfi il problema, ma dire “Basta con i pluri-laureati”, come se fossero proprio per questo titolo degli incapaci da rottamare, come se la preparazione (attenzione, non la laurea) fosse un marchio di malafede o rappresentativa di una prosopopea lontana dal “popolo”. I nostri nonni, i nostri padri hanno fatto l’impossibile per fare studiare i propri figli perchè la cultura era l’unico strumento di riscatto sociale. Oggi, stiamo dimostrando nei fatti ai nostri figli che bisogna fregarsene della cultura, delle regole, delle istituzioni, dell’educazione perchè tanto puoi fare ciò che vuoi, basta urlare più forte, inveire, odiare, agitare il popolo.

Ora, penso che la cosa più semplice sia dire “ok, avete vinto”, se non fosse che questa linea di condotta provinciale ci allontana sempre più dal mercato mondiale del lavoro futuro, dove le competenze di alto livello saranno fondamentali per avere un lavoro dignitoso. Questo approccio provinciale funziona finchè ti confronti con il tuo vicino di casa che la pensa proprio come te, non quando c’è un mondo dietro la porta di casa che viaggia già ad una velocità due volte superiore alla nostra. Questo approccio funziona se si vuole rinunciare a qualsiasi ascensore sociale, se si tollerano solchi sociali sempre più profondi tra chi può formarsi in modo eccellente (magari per andare via dall’Italia) e chi rinuncia a farlo in nome della mediocrità.

Forse avete vinto, forse avete davvero azzerato le prospettive di intere nazioni, e, noi elettori, ve lo abbiamo permesso, ma quello che stiamo consegnando ai nostri figli è un mondo molto peggiore di quello che abbiamo ricevuto dai nostri padri. Forse una riflessione la dovremmo fare.

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Essere imprenditore significa lavorare tanto, pensare sempre alla tua azienda, vivere con la tua creatura in testa giorno e notte. Il mio lavoro e, quindi, questo blog contengono la sintesi e la metafora di una vita vissuta alla ricerca di qualcosa capace di soddisfare la mia curiosità e il mio desiderio di mettermi alla prova senza limiti o preconcetti.